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sommario







pubblicato da
PORRETTI Maria Grazia
(A050 - MATERIE LETTERARIE) 
29/01/2017 10:18:15

L’immenso delitto collettivo

Il racconto che ci ha consegnato la storia sulle persecuzioni, le disumanità e gli orribili crimini commessi durante la seconda guerra mondiale, attraverso le testimonianze dei sopravvissuti all’olocausto e dei vari documenti coraggiosamente raccolti e divulgati ed ora sempre più copiosi, non può lasciarci indifferenti e silenti.
Essa….[ Ci sia di monito per non abbandonare mai i valori comuni della giustizia, della conoscenza, del rispetto, delle diversità] (Renzo Gattegna – Presidente Unione comunità ebraiche italiane –Ucei).

[…l’unica fortuna che avevano le vittime, se si può chiamare fortuna questa, era di essere uccise con una pallottola in testa e non con il gas perché questo era tremendo, era una cosa…soffriva tanto la gente prima di morire. Sai cosa vuol dire mancarti l’aria? Non è che dici “mi manca e sono morto”, lì continui a sbatterti di qua e di là. E’ molto più difficile essere uccisi con il gas. La morte è brutta sempre, però c’è distinzione tra una maniera e l’altra… ] Shlomo Venezia)

Nudi come Dio ci ha creati. Noi donne dovevamo stare davanti ai tedeschi. Quello è stato il primo impatto, il primo shock che abbiamo avuto, poi ognuno ha dimenticato un fatto del genere, perché avevamo delle cose più grandi di noi. Poi le docce, perché loro per la pulizia…(Milena Zarfati)

Quando ci hanno fatto salire sui camion per portarci ai treni, mio nonno era vecchio, faceva fatica, lo hanno picchiato. Allora mio padre ha cercato di aiutarlo, hanno picchiato anche lui. Era la prima volta che vedevo mio papà prendere botte. (Alice Tarica)

Le voci delle vittime che si sono salvate o le ricostruzioni presenti in docu – films, libri, appunti, spartiti musicali dalle struggenti note, fedeli alla realtà drammatica e non frutto di fantasia, rappresentano la memoria collettiva di ciò che è accaduto in quel triste periodo della storia del Novecento ed è perciò che appartiene a tutti.
A mio avviso di tutto questo è necessario che si parli ai nostri studenti, sanno riflettere in modo autonomo, non fosse altro che per continuare ad alimentare la speranza che l’umanità migliori.

(da - Il libro della Shoah Italiana – i racconti di chi è sopravvissuto - Parte Prima Marcello Pezzetti)
Prof.ssa M.Grazia Porretti

Abbiamo letto ed interpretato in classe la splendida poesia che, attraverso frasi molto significative, introduce il romanzo “Se questo è un uomo” di Primo Levi. L’autore denuncia con forza come il lager nazista, nel quale fu deportato, fosse un luogo di morte, in cui gli esseri umani hanno perso la propria libertà e la propria dignità e dove sono stati trattati come bestie.
Da questa attenta lettura è nata una gara di riflessioni riguardanti il comportamento di chi in passato ha abusato del proprio potere per far del male a persone innocenti e di chi, nel presente, purtroppo, continua a farlo spesso in modo consapevole.
In sostanza, alla base di ogni politica di sterminio vi è sempre un’assenza di democrazia, ma soprattutto la presenza di un’ideologia eccessivamente nazionalista, violenta e razzista, che causa eventi tanto atroci come quelli avvenuti nella Germania e nel resto dell’Europa durante la dittatura di Hitler.
Ciò che è emerso dal nostro confronto è che, probabilmente, dietro il potere di persone molto autoritarie e la loro apparente forza, si nasconde una grande insicurezza che rappresenta una profonda fragilità. Quindi, proprio per mascherare questi sentimenti negativi e per ostentare a tutti i costi forza e potere, si è giunti a commettere atti terribili e di estrema crudeltà.
Dunque il ricordo della giornata della Shoah non è solo un dovere, ma un’occasione per riflettere su quanto accaduto e soprattutto per migliorarsi, in modo che questo spiacevole avvenimento venga ricordato come uno sbaglio enorme da non commettere mai più.

Gli alunni della 4^ A Meccanica

La storia ci riporta vari casi di genocidi avvenuti in un passato non lontano da noi quindi, avere la consapevolezza di ciò che è accaduto, deve fungere da “allarme” dinanzi ad un pericolo nascosto dietro l’angolo. Spesso si fa l’errore di archiviare quest’evento e di considerarlo irripetibile ma in realtà ogni manifestazione di intolleranza e di discriminazione può rappresentare un potenziale pericolo per la società democratica. Considerare un proprio simile “inferiore” per il colore della pelle, per l’etnia a cui appartiene, per la religione o per qualsiasi altra forma di diversità, è una cosa gravissima. In questo mondo tutti siamo uguali ed abbiamo pari diritti e non deve essere di certo un fattore estetico o una divergenza culturale o religiosa a classificarci come migliori o peggiori ma, al contrario, deve rafforzare la nostra identità. Sulla base di questo, noi studenti, che siamo il futuro della società, proprio da molteplici spunti di riflessione, dobbiamo cogliere il senso degli eventi che la storia ci ha tramandato ed essere in grado di auto-formarci come persone, affinché si possa creare una società dai sani valori e principi.

Gli alunni della 5^ A Meccanica







1944 - Ebrei appena giunti ad Auschwitz



pubblicato da
BOCHICCHIO Vincenzo
(A050 - MATERIE LETTERARIE) 
27/01/2017 18:15:27

La signora Schächter

C’era fra di noi una certa signora Schächter, di una cinquantina d’anni, con il figlio, di dieci anni, accovacciato nel suo angolo. Suo marito e i suoi due figli maggiori erano stati deportati con il primo trasporto, per errore.
Questa separazione l’aveva completamente distrutta.
Io la conoscevo bene. Era venuta spesso da noi: una donna tranquilla, dagli occhi ardenti e acuti. Suo marito era un uomo pio e passava i giorni e le notti nella casa degli studi, mentre era lei che lavorava per sfamare i suoi.
La signora Schächter aveva perduto la ragione. Il primo giorno del nostro viaggio aveva già cominciato a gemere, a domandare perché l’avevano separata dai suoi; poi le sue grida divennero isteriche.
La terza notte, mentre dormivamo seduti l’uno contro l’altro e qualcuno in piedi, un grido acuto squarciò il silenzio:
- Un fuoco! Vedo un fuoco! Vedo un fuoco!
Seguì un istante di panico. Chi aveva gridato? Era stata la signora Schächter. In mezzo al carro, al pallido chiarore che proveniva dalle finestre, assomigliava a un albero secco in un campo di grano. Col braccio indicava la finestra, urlando:
- Guardate! Oh, guardate! Quel fuoco! Un fuoco terribile! Abbiate pietà di me! "Quel fuoco!"
Degli uomini si attaccarono alle sbarre. Non c’era nulla, eccetto la notte.
Restammo per un lungo momento sotto il colpo di questo risveglio terribile. Ne tremavamo ancora. A ogni cigolio delle ruote sulle rotaie ci sembrava che un abisso si stesse per aprire sotto i nostri corpi. Incapaci di addormentare la nostra angoscia, cercavamo di consolarci: «E’ pazza, poveretta....» Le era stato messo un cencio bagnato sulla fronte per calmarla, ma lei continuava a urlare: «Quel fuoco! Quell’incendio!....»
Il suo figlioletto piangeva, afferrandosi alla gonna, cercando le sue mani: «Non è nulla, mamma! Non è nulla...Siediti...» Lui mi faceva più male delle grida di sua madre. Alcune donne tentavano di calmarla: «Ritroverete vostro marito e i vostri figli... Fra qualche giorno...»
Lei continuava a gridare, ansante, la voce rotta dai singhiozzi: «Ebrei, ascoltatemi: vedo un fuoco! Che fiamme! Che rogo!». Come se un’anima maledetta fosse entrata in lei e parlasse dal fondo del suo essere. Noi cercavamo di spiegarci il fatto, per tranquillizzarci, per riprender fiato piuttosto che per consolarla: «Deve avere così sete, poveretta! E’ per questo che parla del fuoco che la divora...».
Ma tutto era inutile. Il nostro terrore avrebbe fatto scoppiare le pareti del carro, i nostri nervi stavano per cedere, la pelle ci faceva male: era come se la follia stesse per impadronirsi anche di noi. Non ne potevamo più. Alcuni giovanotti la fecero sedere di forza, la legarono e le misero un bavaglio.
Era tornato il silenzio. Il bambino era seduto accanto alla mamma e piangeva. Io avevo ricominciato a respirare normalmente. Sentivamo le ruote scandire sulle rotaie il ritmo monotono del treno attraverso la notte. Ci si poteva rimettere a dormicchiare, a riposare, a sognare...
Un’ora o due passarono così, quando un nuovo grido ci tagliò il respiro. La donna si era liberata e urlava più forte di prima:
- Guardate quel fuoco! Fiamme, fiamme dappertutto...
Di nuovo i giovanotti la legarono e la imbavagliarono. Le diedero anche qualche colpo. La gente li incoraggiava:
- Che stia zitta, quella pazza! Che chiuda il becco! Non è sola! Che la faccia finita!
Le diedero parecchi colpi sulla testa, colpi da ammazzarla. Il figlioletto le si aggrappava addosso, senza gridare, senza dire una parola. Non piangeva più.

Elie Wiesel - La notte.




 

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